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Cos’è il quiet quitting?

Cos’è il quiet quitting?
Tamara
Quite quitting

Nelle ultime settimane mi è capitato più volte di incontrare, in conversazioni con persone molto diverse, il concetto di “quiet quitting”.

Ti spiego di cosa si tratta: il quiet quitting si riferisce alla rinuncia a compiti che esulano dalle mansioni assegnate e/o a un minore coinvolgimento psicologico nel lavoro. I quiet quitters continuano a svolgere le mansioni previste dal loro ruolo, ma sono meno disposti a impegnarsi in attività extra: non si fermano più fino a tardi, non si presentano in anticipo o non partecipano a riunioni non obbligatorie.

Certo, detto così non sembra un vero problema, in fondo queste persone fanno esattamente quello per cui sono state assunte e per cui vengono pagate. Il problema è però più profondo di quello che sembra. È in fondo una mancanza di motivazione, la vera motiv-azione, il motivo che ti porta ad agire, che è alla base di tutte le cose che facciamo.

Un collaboratore che va oltre il proprio dovere, che si spende per la causa, che crede talmente in quello che fa da superare il limite della descrizione su un contratto, è senza dubbio un vantaggio competitivo fondamentale.

Va anche considerato che è molto difficile racchiudere tutto il valore che una persona può apportare in una job description e che le organizzazioni si affidano ai dipendenti per soddisfare le richieste extra, se necessario.

Non si tratta di quello che fai, ma di come lo fai e di come ti senti nel frattempo.

Quindi che fare?

Come tante cose nella vita, mentre pensavo di farmi un bel articolo su questo argomento, mi è capitato per caso la newsletter di Tony Robbins su Linkedin, e parlava proprio di questo!

L’incertezza e la mancanza di motivazione sono il seme da cui nasce il quiet quitting, proprio in questo momento quando più che mai le persone si interrogano su ciò che vogliono veramente dalla vita.

Il fatto è che i quiet quitters si focalizzano molto sulle azioni tralasciando la loro mission, il loro perché, e cioè il loro purpose, in sostanza la loro motivazione.

Tony Robbins dice:

“I’m talking about tying what we do daily to the core of what makes us human: IMPACT. The desire to contribute. To do more, be more, give more, serve more. “

“Sto parlando di legare ciò che facciamo quotidianamente al nucleo di ciò che ci rende umani: l’IMPATTO. Il desiderio di contribuire. Fare di più, essere di più, dare di più, servire di più.”

Eccoci qui, ancora una volta la chiave di tutto è il nostro lato human!

Quando ho iniziato a scrivere Human Leadership: Per essere un vero leader prima bisogna conoscere sé stessi era proprio a questo a cui pensavo, a quanto il nostro lato human sia stato messo da parte negli ultimi decenni a favore di una de-umanizzazione del ruolo professionale che rivestiamo.

Non esiste differenza tra personale e professionale, siamo le stesse persone che vanno in ufficio e che poi portano i figli a nuoto.

Avere una leva che ci spinga a dare agli altri, che si tratti di rimanere di più in ufficio per aiutare il collega a finire il report o di aiutare la vicina a portare la spesa, può fare la differenza.

E non si tratta di gesti di semplice gentilezza, ma di interesse e cura nei confronti dell’altro, nel provare gioia nel dare in modo incondizionato.

Questo accade, come spiego nel libro, quando uno ha conoscenza di sé, di cosa ci muove, che si chiami purpose, scopo di vita, obiettivo, l’importante è essere consapevoli e agire in accordo con le nostre leve!

I’m not quitting, e tu?

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